torsdag 29 juli 2010

Dal genio solitario alla scienza come mercato delle idee

Il mio articolo è stato pubblicato sotto la rubrica di pensieri e parole nel quotidiano L’Indipendente domenica 23 ottobre 2005.

Sono passati cinquant’anni dalla morte di Albert Einstein, il fisico teorico considerato spesso come lo scienziato più grande del Novecento, e un secolo dal 1905, il suo annus mirabilis, in cui fornì la base di tre campi fondamentali nella fisica: la teoria di relatività, la teoria quantistica e la teoria del moto browniano.

Il 2005 è stato dichiarato anno mondiale della fisica dall’Onu (e le attività previste nell’ambito di questa “celebrazione” sono descritte sul sito internet http://www.wyp2005.org) proprio alla memoria di Albert Einstein. Infatti, nel Regno Unito e nella Repubblica d’Irlanda l’iniziativa viene semplicemente denominata “l’anno di Einstein”.

Ciò spiega perché in questi mesi si vadano moltiplicando conferenze, seminari e altre iniziative che mirano ad accrescere nel pubblico la conoscenza delle scoperte compiute nel campo della fisica. In un certo senso, questa iniziativa crea confusione. Mai precedentemente si è verificato che la fisica, la scienza in genere e la tecnologia in particolare fossero state cosi importanti e di così ampio riscontro nella vita quotidiana. È inoltre evidente come il progresso scientifico stia velocemente arrecando benefici all’uomo comune attraverso il mercato libero. Ma, e questo deve far riflettere, oggi assistiamo a una diminuzione globale degli studenti nel campo della fisica. Non solo: gli allievi migliori non si stanno dirigendo verso gli studi fisici, perché trovano più attraenti altri campi. Gli insegnanti di scienze nelle scuole sono sempre meno. In effetti, si colgono già diverse avvisaglie del rischio della diffusione dell’analfabetismo scientifico: nelle società tecnologicamente avanzate molti difettano nella conoscenza del pensiero critico rispetto al loro ambiente quotidiano.

L’irresistibile successo della fisica

Albert Einstein è un simbolo, un’icona di saggezza, immaginazione, creatività, integrità scientifica e forza mentale concentrate. Nella sua persona egli esemplifica sia il successo della fisica (la disciplina chiave del Novecento) sia il suo declino ancora in corso. È il simbolo anche di uno sguardo rivolto al futuro?

La fisica all’inizio del Ventesimo secolo era effettivamente un’attività “radicale”: spazzò via le vecchie nozioni assolutiste e portò alla scienza idee nuove, che a loro volta hanno ispirato grandi cambiamenti nell’arte, nella cultura e nel pensiero politico. Il pensiero di Einstein sulla relatività seguì la tendenza del suo tempo, ma allo stesso modo la modificò in profondità. La scienza era potentemente connessa alla società attraverso un ambiente fatto di scienziati dilettanti, politici interessati e conferenzieri. Infatti la fisica del tempo potrebbe essere stata persino troppo “di successo”. Nei suoi grandi progetti e nella sua potente metodologia matematica, molti credettero di vedere le soluzioni per i problemi sociali. Attraverso la progettazione scientifica si sarebbero realizzati valori “obiettivamente migliori”.

L’immagine che Einstein proietta in questo periodo iniziale era piuttosto diversa da quella che conosciamo attraverso il mito creatosi intorno a lui (e che lui stesso ha contribuito a creare). Non soltanto perché era giovane, ma anche perché era ben vestito, progressista, zelante (tanto che lavorava all’ufficio brevetti svizzero, proprio durante il suo annus mirabilis, prima di riceverne riconoscimento), impegnato nel sociale.

Era sionista e fu tra i fondatori del Partito liberaldemocratico tedesco della Repubblica di Weimar, sebbene più tardi si sia orientato verso un socialismo e un pacifismo meno rigorosi. Proiettò l’immagine attiva di professore europeo molto comune a quei tempi. Ma l’immagine di Einstein si mutò con il ridefinirsi dell’immagine della fisica.

Il bohémien nella torre d’avorio

Nell’era successiva alla Seconda guerra mondiale sembrò svilupparsi una sintesi felice fra la visione della scienza esercitata in autonomia dal resto della società e quella che concepiva la scienza stessa come scopritrice delle forze naturali in funzione del bene comune. La scienza si sarebbe dovuta concentrare dunque su una produzione di conoscenza libera dai valori, mentre la politica avrebbe dovuto controllare il dibattito su quegli stessi valori, sulla direzione e sugli obiettivi della ricerca. Nella società i grandi valori cambiarono. La guerra moderna, la bomba atomica, i disastri ambientali e altri problemi collegati alla modernità non furono visti come negativi effetti secondari o come applicazioni sbagliate della scienza, ma vennero considerati come l’essenza stessa della scienza. La perdita di connessione fra la fisica e la società creò un clima di sospetto, che si tradusse in sentimenti contro il progresso e si orientò persino contro i benefici materiali raggiunti attraverso la scienza. Venne detto che la scienza può produrre più “roba”, peraltro inutile, ma non può rendere la gente felice. Perciò la scienza doveva essere tenuta sotto controllo e messa al guinzaglio.

Einstein si trasferì negli Usa e divenne un recluso. I problemi scientifici della fisica teorica certamente divennero più complessi durante la vita di Einstein, ma egli preferì continuare a essere l’ultimo fisico classico piuttosto che partecipare alla rivoluzione della relatività e della meccanica quantistica che lui stesso aveva innescato. Continuò a cercare di ampliare, attraverso la geometria differenziale, il formalismo della relatività generale, con l’obiettivo di giungere a una teoria unificata capace di descrivere in modo unitario sia il campo gravitazionale che quello elettromagnetico. E continuò a pensare ai problemi, che considerava irrisolti, relativi ai fondamenti della meccanica quantistica.

Durante i suoi anni a Princeton Einstein coltivò l’immagine del bohémien bizzarro, del professore nella torre d’avorio che finì per diventare l’essenza stessa dell’immagine pubblica dello scienziato. Nella sua ricerca sulla teoria unificata si fece anche più interessato al formalismo astratto, piuttosto che all’argomentazione e all’esperimento. Un formalismo che purtroppo ora domina in quelle aule in cui gli insegnanti spesso non riescono a spiegare perché la fisica dovrebbe essere importante per gli allievi.

I simboli della scienza potente comunicavano con vigore i valori che la scienza desiderava proiettare, e mentre l’immagine di Einstein (quale nonno della fisica) potrebbe essere un’immagine piacevole, dobbiamo considerare che presenta anche aspetti negativi.

Le rete della conoscenza

Questo dipende soprattutto dal fatto che la fisica è diventata sempre più vitale attraverso le sue applicazioni, si è liberata sempre più della muffa del formalismo rigido che tanti considerano negativo ed è venuta in contatto con il design e l’ingegneria: in tal modo si è cercato di creare un ponte fra la cultura scientifica e la cultura umanistica. Da questo nasce una nuova discussione intorno ai valori, e la creazione di nuove opportunità per l’esistenza umana e non solo per produrre più “roba”. Assistiamo a una ridefinizione della biotecnologia e della tecnologia informatica come le discipline del Ventunesimo secolo, capaci di “provocare” e di mettere in discussione la società e le altre discipline. Ma la fisica assicura ancora un contributo notevole quando si tratta di risolvere problemi relativi alla produzione di energia, alla protezione dell’ambiente o alla sanità pubblica.

Dovremmo ritornare, nella nostra immagine dello scienziato, all’Einstein giovane? Probabilmente no. L’Einstein del futuro è una rete di ricercatori sparsi in tutto il mondo, un vero “mercato delle idee”, come visualizzato dal filosofo della scienza Michael Polanyi (che fu molto influenzato da Friedrich Hayek). Se la scienza è vista come un processo aperto, distribuito nel tempo e nello spazio, ciò incoraggia il lavoro interdisciplinare e crea opportunità di partecipazione pubblica e culturale maggiori di quanto “il genio solitario” abbia mai potuto fare.


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